Nonna Esterina e la grazia ricevuta

Quella che vi andiamo a raccontare è una storia vera. Narra di una donna risoluta ma dolce come il miele di robinia: nonna Ester, che in paese tutti hanno sempre chiamato Esterina.
Il cammino a ritroso sui lastricati sentieri della memoria ci riporta alle immagini antiche di un quieto borgo di Bassa. Alcuni di voi quelle immagini le conoscono bene: la corte con l'aia, la casa signorile del fittavolo, il rosario sgranato d'inverno nelle stalle tiepide e umidicce, le donne che portano cavagne ricolme di biancheria al lavatoio pubblico per il bucato. E poi le stradine sterrate e incipriate di gelo che innervano la campagna, la musica intonata dai corsi d'acqua gorgoglianti che si perdono tra i campi orlati dai gelsi. Un tempo che non è perduto per sempre, ma che rivive nella testimonianza di donne speciali, come speciale era nonna Esterina.
La sua vicenda prende a dipanarsi nel lontano 1914 quando Esterina aveva appena compiuto diciotto anni, essendo nata il 19 novembre del 1896. La fanciulla era nel fiore della giovinezza e viveva a un tiro di schioppo dal paese con la madre Maddalena, il padre Fortunato, i fratelli Enrico, Piero e Mario. Una famiglia di mugnai e grandi lavoratori, una famiglia umile e unita.
Su quella ragazza dal viso da bambolina, con i capelli color carbone e gli occhietti curiosamente allungati come una giapponesina, aveva lasciato gli occhi Costante, un bel giovanottone tarchiato che si guadagna il pane trasportando sulle spalle gagliardi sacchi di farina. Intuita la solfa, mamma Maddalena continuava a ripetere alla figlia che diciott'anni erano ancora troppo pochi per perdersi in chiacchiere con il primo moscone che ronzava attorno. Esterina, però, faceva orecchie da mercante. Quel giovanotto la intrigava. E poi, a dirla tutta, anche mamma Maddalena sapeva bene che quella era l'età giusta per maritarsi. Eppure, chissà perché, s'intestardiva contrariata nei confronti del Costante.
Una bella sera, con la luna che rischiarava la Bassa come fosse giorno, Esterina e Costante si diedero appuntamento nel cortile accanto al mulino. Al riparo da ogni sguardo indiscreto, se davvero ci fossero, si abbracciarono dietro una colonna che sosteneva il loggiato. Il giovane strinse a sé l'esile ragazza con delicatezza, promettendole tutto il bene di questo mondo. Con il cuore che batteva impazzito, Esterina riuscì solo a restituire un cenno di consenso con il capo quasi chino. Prima di congedarsi con la buonanotte, Costante trovò l'ardire di stampare sulle gote rubescenti di Esterina un tenero e innocente bacio.
Si frequentarono poco Esterina e Costante, perché la chiamata alle armi non si fece attendere. Il giovanotto partì per la Grande guerra per non farne più ritorno. Il suo nome resta su una lapide in piazza, insieme a quelli dei tanti giovani che pagarono il tributo più alto al conflitto del 1915-18.
Tanti anni dopo, accanto alla stufa, nonna Esterina avrebbe raccontato ai nipoti, che la circondavano in rigoroso silenzio, la storia di quel ragazzo che le toccò il cuore. Nel ricordarlo, i suoi occhi si velavano ancora di rimpianto: «Era proprio un bel giovane. Mia madre non voleva che lo frequentassi perché diceva che era troppo alto e bello per una piccoletta come me. Aveva il timore che il nostro fidanzamento non andasse in porto. Invece mio papà stravedeva per lui. Diceva che era forte come un toro, aveva la testa a posto e, ripeteva sempre, gli occhi buoni».
Eppure il tempo che gocciolava lento e inesorabile in Bassa fu gentiluomo. Cupido, quasi. Dopo qualche anno Giuseppe, il barbiere e sarto del paese, riuscì a conquistare Esterina. Più che Giuseppe, per amor di verità, potè Maddalena che, con la proverbiale insistenza di certe mamme, continuava a ripetere alla figlia lo stesso refrain: «Fatti una famiglia. Muoviti! Non vorrai mica restare da sola per tutta la vita e fare la serva ai tuoi fratelli».
Detto, fatto: Esterina e Giuseppe si sposarono nel 1921. L'anno successivo Ester diede alla luce il primogenito Oreste, seguito da Giuseppina, quindi Agnese, poi ancora Guido e infine Clelia. Mentre nonna Esterina allattava la sua piccola Clelia, prese a balia anche Alessandro, il bambino di donna Giuditta. Un giorno, quest'ultima, annunciò a Esterina che si sarebbe assentata un paio di giorni, giusto il tempo di trovare un lavoro in città. Non si fece più viva. Cosa le fosse accaduto resta un vero mistero. Nessuno seppe più nulla di quella donna alla quale, dicevano i concittadini con la lingua ben oliata, mancava qualche lunedì. Un po'svitata, insomma. Con Giuseppe impegnato come sarto e barbiere e nonna Esterina che si dava da fare con il suo negozietto di frutta e verdura per sbarcare il lunario, si aggiunse dunque una nuova bocca da sfamare.
Nonostante fosse ancora solo un bambino, di Alessandro la gente del paese bisbigliava che caratterialmente fosse identico alla madre. Non deve stupire dunque che, fattosi giovanotto, Alessandro se ne andò di casa e intraprese, con discreto successo, la carriera del pugilato. I commenti erano i soliti: già era suonato prima, immaginatevi poi. Ciò non toglie che ogni 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, cascasse il mondo, Alessandro arrivasse da chissà dove per trovare la sua «mamèta», come la chiamava lui, e portarle un piccolo pensiero. E nonna Esterina lo accoglieva a braccia aperte, come uno dei suoi figli.
Giunse e finì una nuova guerra, ancora più lunga e dolorosa della precedente. Negli anni seguenti i rapporti fra nonna Esterina e i suoi fratelli s'incrinarono per colpa di quella carogna che può essere la politica. Enrico, il maggiore, divenne un comunista convinto; Piero si era messo a bere e quando il vino galoppava nelle sue arterie come un cavallo pazzo, si rivolgeva contro la Chiesa e contro tutto il mondo. Infine c'era Mario, che s'inginocchiava davanti all'immagine del Duce come a un quadretto della Madonna.
Furono liti a non finire. Nonna Esterina, che cercò in tutti i modi di tenere insieme la famiglia, fu etichettata come bigotta e isolata dai fratelli, dei quali due si trasferirono in città nel giro di poco tempo. Enrico diventò un dirigente del Partito comunista italiano, Mario un ottimo cuoco ma sempre, rigorosamente vestito di nero. L'unico rimasto in paese, Piero, finì stroncato da infarto in mezzo all'aia mentre saraccava contro tutto e tutti.
Quasi quarant'anni dopo, il 1983 segnò per sempre la vita di nonna Esterina. Il 15 giugno un male incurabile si portò via il figlio Guido a soli 52 anni; a dicembre, sempre per lo stesso male e sempre il giorno 15, se ne andò Oreste. Un mese prima anche Alessandro aveva raggiunto il regno dei più, ma nessuno osò dirlo a Esterina. Non vedendolo arrivare il giorno di Santa Lucia, la nonna intuì che anche a quel ragazzo un po' strano, ma con il cuore in mano, fosse capitato qualcosa di brutto. Alessandro morì proprio il 13 dicembre, in una piccola località della Liguria, solo come un cane. Lo trovarono i suoi amici dopo una decina di giorni, rannicchiato in un angolo di una squallida casa.
«Signore, perché non hai fatto morire me, perché ti sei portato via i miei figli e mi hai lasciata sola? Che cosa faccio io al mondo», ripeteva inconsolabile nonna Esterina. La quale si confidava con don Pierino che si recava a trovarla tutti i santi giorni che il buon Dio mandasse sulla terra. Nonna Esterina manifestava insistentemente un desiderio: voleva vedere il vescovo per parlargli. Di persona. «Mi scusi don Pierino, ma devo confidarmi con il vescovo. Ho una cosa che tengo qui, nel cuore. Don Pierino, mi faccia il santo piacere, quando sente il signor vescovo le dica che ho bisogno di parlargli. La supplico, mi faccia questa grazia».
Il parroco di campagna, che era una pasta d'uomo, cercava di consolare quella povera donna inventandosi mille scuse. «Sa, nonna Esterina, il vescovo è molto impegnato, gli manca proprio il tempo di venire qua. Lo farebbe volentieri, ci mancherebbe, ma cerchi di capirmi».
In quella casa ormai vuota, anche zia Maria si recava tutti i giorni a far visita a nonna Esterina. Zia Maria era una brava donna, per l'amor del cielo, ma un po' zabettona. Con il suo comarare, se non altro, cercava di mitigare il dolore che affliggeva nonna Esterina. Ma era tutto inutile. Nonna Esterina coltivava un desiderio e quello solo.
La vigilia di Natale dell'83 Nonna Esterina sentì bussare alla porta. Con il rosario in mano, che a furia di sgranarlo era ormai consunto, la pia donna stava seduta accanto alla stufa dai cerchi in ferro. Dall'uscio un po' malandato, don Pierino si tolse il cappello mostrando la sua bella crapa pelata e liscia come una palla da biliardo. I paesani del borgo bassaiolo sostenevano che don Pierino avesse donato anche i capelli ai poveri. Il parroco di campagna, infatti, non riusciva a tenere in scarsella neanche un soldo: erano tutti per le persone che avevano bisogno. E in quegli anni di gramizie c'era poco da sfogliar verze. Don Pierino, si diceva, entrò in casa seguito da un'altra persona che nonna Esterina fece fatica a mettere a fuoco. Finché, davanti a quella persona alta e distinta, nonna Esterina sobbalzò dalla sedia. Non c'erano dubbi, era proprio il vescovo in persona quello che si era recato a farle visita. Finalmente la sua preghiera era stata esaudita!
«Le ho portato il vescovo, nonna Esterina. S'è fatto in quattro pur di venire a portarle conforto», le disse fiero don Pierino.
Nonna Esterina era rimasta un po' allocchita, ma subito si riebbe: «Riverisco signor vescovo. Lei è stato molto gentile a venire a trovarmi. Lo sa, vero, quello che mi è capitato. Gliel'ha detto don Pierino. Io sto pregando il Signore perché mi faccia una grazia. Vorrei raggiungere per il giorno di Natale i miei figli. Voglio restare con loro. Che cosa faccio al mondo da sola, a ottantasei anni? Lei che è vicino al nostro Signore, glielo dica, magari in un orecchio senza farsi sentire dagli altri, di farmi questa grazia. È solo un favore che fate a una povera vecchia. Mi faccia volare in cielo dai miei cari. Non chiedo altro».
Il vescovo abbozzò un sorriso. Con grazia le prese le mani e le portò sul suo petto. Con delicatezza le accarezzò la guancia, ormai tutta pelle e ossa.
«Nonna Esterina, preghi il buon Dio, vedrà che le sarà vicino come lo siamo io e don Pierino. Lo so che sono momenti bruttissimi. Il Signore l'ha messa a dura prova. Nonna Esterina si faccia forte. Ha ancora le figlie e i nipoti».
La donna fissò il vescovo e, con filo di voce: «L'è mia stess, sciur vescov. I miei figli erano tutto per me. Ogni sera, prima Guido e poi Oreste bussavano alla mia porta per chiedermi come stavo e poi si congedavano dandomi la buonanotte. Mi davano sempre del voi, tanto erano rispettosi nei miei confronti ».
Prima di abbandonare quell'umile casa, il vescovo le porse il crocefisso. Nonna Esterina lo accolse tra le sue mani con cura, lo baciò: «Non è giusto signor vescovo. I genitori dovrebbero andarsene prima dei loro figli. Perché lasciare al mondo una povera donna come me a soffrire...».
Il vescovo e don Pierino lasciarono quella casa con il cuore gonfio di tristezza, mentre Nonna Esterina si copriva il viso per piangere. Purtroppo, quegli occhi tanto provati non erano più capaci nemmeno di una lacrima.
Il giorno di Natale, il cielo aveva smesso di mandare sulla Bassa fiocchi grossi come piume. Scendeva neve ghiacciata sui coppi dei vetusti tetti di un quieto borgo di Bassa, picchiettandoli come grani di sale.
Da poco era suonata l'Avemaria. Attraverso il vetro arabescato della finestra, un paio di occhi vispi cercavano di far breccia nella casa di nonna Esterina. Erano quelli di zia Maria. Accanto alla stufa dai cerchi in ferro, la sedia era vuota. Con il cuore in subbuglio, zia Maria entrò in casa e a leggeri passi raggiunse l'ottomana sulla quale si trovava distesa nonna Esterina. «Ma guarda, si è addormentata sorridendo» pensò sommessamente zia Maria.
La donna le prese delicatamente la mano, per lasciarla subito e coprirsi il viso, singhiozzante: «O Madonnina della Costa, alla fine ce l'ha fatta. Ossignùr, devo andare subito in chiesa da don Pierino».
Zia Maria uscì di casa con le mani giunte. Rivolse i suoi occhi al cielo. Lassù, fra le tremule luci dell'eterno mistero, le sembrò di scorgere il viso sorridente di Esterina. Fu un attimo; poi si strinse nelle spalle e affrettò il passo.
N.B. – Ester Cremascoli era la mia cara e dolce nonna Esterina.
Giuseppe Bracchi
Giornalista, Amico di Gabry