Un sogno e la realtà

Mi accingo a scrivere questo editoriale con sentimenti contrastanti perché debbo parlare nuovamente di Hospice e mi ritrovo a combattere tra un sogno ed una drammatica realtà.
Con calma, sedando la rabbia che mi monta dentro, vi parlo del sogno che nasce nel 1998 come esperienza personale feconda vissuta insieme a dei professionisti (Pietro e Marco) al capezzale di Gabry, mia moglie. È un momento che matura con il bisogno di prendersi cura di una persona affetta da una patologia grave ed invalidante, di accompagnarla assieme ai miei famigliari nel cammino tortuoso e complesso della malattia, di offrire le migliori cure possibili a casa, condividendole ed integrandole con quello che i professionisti proponevano. Ecco, a distanza di anni, il sogno metteva come riferimento la centralità del paziente terminale, la risoluzione dei suoi bisogni fisico-psico-sociali ed il rispetto della sua autodeterminazione.
Il sogno diventa progetto: l'ospedalizzazione dei "senza speranza", con la sicurezza che lì "il destino può essere cambiato e quindi guarire" ed il contesto burocratico ed anonimo del nosocomio può peggiorare di molto la qualità di vita del malato terminale. Sottratto alle figure amiche che hanno popolato la loro esistenza fino a quel momento, segregati in stanze asettiche così lontane dalla famigliarità e dalla consuetudine delle mura domestiche, i malati incominciano a sentire l'oppressione determinata dalla malattia, possono avvertire come ineluttabile la fine ed insignificante il periodo che la precede. L'ospedale, nella sua accezione moderna, non è logisticamente né culturalmente preparato ad accompagnare un malato in fin di vita!
Nacque negli anni 50 nel mondo anglosassone, ad opera di Cicely Saunders, l' idea portante di un movimento che in seguito venne definito il "Movement Hospice" che per la vastità dei contenuti etici, sanitari, umanitari e sociali, si diffuse nel mondo come un vero e proprio momento filosofico il cui perno era rappresentato dalla centralità del paziente terminale, dalla risoluzione dei suoi bisogni fisici (trattamento del dolore e tutti gli altri sintomi) e psicosociali e dal rispetto della sua autodeterminazione. Dietro a questa definizione si nascondeva una vera e propria rivoluzione nel mondo della medicina: il "paternalismo" medico, cioè quella secolare tradizione che dava sempre ai medici il diritto di decidere del bene e del male del paziente, indipendentemente dalla sua volontà, veniva abbattuto. Il malato inguaribile veniva riconosciuto nella sua complessità di soggetto morale, unico e insostituibile, con diritti inalienabili, che dovevano essere rispettati in ogni momento della sua vita residua. Tra questi diritti, il più importante e spesso trascurato è quello della autodeterminazione, cioè di poter far valere le sue volontà e di poter far rispettare i suoi desideri sino all' ultimo momento: di poter, cioè, avvicinarsi all'ultimo momento con la consapevolezza di quanto gli sta accadendo, tra persone preparate e motivate ad "accompagnarlo", nel rispetto di quello che è stato il suo stile di vita, della sua "biografia". È nell'ambito di questo movimento di pensiero che viene a collocarsi l'Hospice, che non è solo una struttura muraria su misura per affrontare adeguatamente i bisogni del malato terminale e della sua famiglia: esso deve invece essere visto come il contenitore materiale di una disciplina ben più vasta che è quella delle cure palliative.
Ora invece vi parlo, in modo nervoso, della nostra drammatica realtà, quella di una zona che da circa quarant'anni propone una crescita esponenziale di malattie tumorali (siamo all'avanguardia nelle statistiche nazionali) che portano a decessi sempre più legati a fattori ambientali legati alla cecità di chi ha permesso lo sviluppo di industrie che hanno oramai segnato la vita delle nostre famiglie. Ma non basta, andiamo a vedere la distribuzione degli hospice nella regione Lombardia (basta andare in Internet e digitare Hospice Lombardia) e ci rendiamo conto come in tutto il territorio sia stata creata una rete a macchia di leopardo di cui 4 più 2 nascenti in provincia di Bergamo ma il buco nero è proprio qui da noi: nella Bassa Bergamasca! Una popolazione di circa 1.200.000 abitanti totali, di cui circa 300.000 riferiti a 37 comuni della nostra bassa e zero Hospice!! Mi chiedo veramente come sia possibile che nessun politico od amministratore pubblico abbia tenuto in considerazione questa mancanza. Nell'ultimo anno, spinti da non so quale pungolo ( o perlomeno lo so ma ve lo lascio intuire) tutti si sono messi a promettere ma alla fine tutti si sono defilati perché... l' Hospice è un momento etico e filosofico e non si può improvvisare, bisogna avere rispetto dei bisogni della gente …così di fronte alla realtà per l'ennesima volta tutto è franato su promesse non mantenute! Scusatemi lo sfogo ma è lo scontro tra un sogno e la realtà.