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Dalla Vostra Parte

Il silenzio di una voce

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Lo sappiamo che le giornate non sono tutte uguali, che i nostri compagni di viaggio ogni giorno ci propongono spunti di riflessione nuovi, siano essi colleghi o pazienti. Spesso ci pongono domande che mettono in crisi prima di tutto la nostra preparazione medico-scientifica e poi noi stessi. O meglio, è il non avere una risposta che genera forse dissgio in noi operatori, quando non riusciamo ad aggrapparci a numeri o statistiche che siano in grado di “difenderci”, quando non sappiamo dare una spiegazione a una vita che finisce prima di aver compiuto il suo corso.

Con Giancarlo senza dubbio il cammino è stato lungo, tortuoso, ma non ancora terminato. Quando nel Gennaio del 2011 gli venne diagnosticata una neoplasia intestinale a basso rischio di recidiva- tanto che non gli venne proposta nemmeno la chemioterapia adiuvante- aveva pensato di averla scampata; riteneva di aver chiuso la faccenda con l’ intervento chirurgico. Ma nell’ agosto dello stesso anno la certezza di essere guarito lasciava il posto non tanto alla disperazione ma a uno stato di incredulità verso un referto di TAC e PET e persino a fronte di un esame istologico, che documentava senza alcun dubbio che la malattia si era ripresentata a livello epatico. Da medici sappiamo anche le statistiche sono numeri, parliamo di rischio relativo, di riduzione di rischio, di prolungamento di sopravvivenza, di tempi alla progressione... ma un paziente vuole sapere se è guarito o malato, se vivrà (e lui intende... vivrò a lungo?) o se morirà (e lui intende... morirò a breve?). Quando Giancarlo è passato dal sentirsi un “sopravvissuto” a una malattia, e quindi guarito, al sentirsi dire di essere “malato” si è chiuso in un suo mondo di pensieri ed emozioni da cui per anni non è mai trapelato nulla.

In primo luogo lui non si sentiva malato, erano senza dubbio le cure aggressive che lo rendevano impresentabile, che gli impedivano di condurre una vita sociale soddisfacente. Sì perché il mondo non è quello del day hospital, dove c’è solidarietà e comprensione, il mondo vero è quello che c’è fuori di lì, dove i sani lavorano e vanno in vacanza mentre i malati si devono preoccupare di lottare per allungare la loro sopravvivenza.

Giancarlo non parla quasi mai, non fa molte domande. Si presenta alle visite in day hospital sempre in tenuta sportiva, ma non tradendo mai la sua natura e la sua passione. E proprio come durante le sue passeggiate in montagna, lascia che sia il silenzio a parlare al suo posto, a trasmettere le sue emozioni a chi lo ascolta. Non ho mai forzato un dialogo che non arrivava. Nei primi tempi, in cui come in tutte le relazioni interpersonali, bisogna rompere il ghiaccio per conoscersi un po’ meglio... non sapevo proprio cosa dire! Perchè quest’uomo non parlava? Rispondeva a monosillabi, mai nessuna domanda non strettamente necessaria a comprendere quel poco che gli bastava su come destreggiarsi con gli effetti collaterali. Spesso provavo imbarazzo per un silenzio troppo lungo: ma chi doveva parlare dei due? E andavo a casa chiedendomi cosa non andava in quella relazione e perché quell’uomo con il suo silenzio mi metteva in difficoltà. Non vorrei fare una citazione banale... ma avete presente il Piccolo Principe e la volpe? Il concetto di addomesticare?.Ogni giorno cercavo di fare un passo avanti, di sedermi un poco più vicino a lui, ma con molta delicatezza e soprattutto c on rispetto dei suoi tempi e dei suoi spazi, senza invasioni od intrusioni. Pensavo che quello che stavo facendo servisse per arrivare ad instaurare una relazione medico-paziente di fiducia... come se il silenzio venisse da una mia mancanza nei suoi confronti, da una mia incapacità nel creare una classica relazione basata su uno scambio verbale.

Ci sono voluti anni per capire che nel silenzio non eravamo seduti distanti, che anche quella era una relazione vera. E un bel giorno Giancarlo ha deciso di raccontarmi la sua vita di malato come se io in quella vita non ci fossi mai stata. Quello che sembrava un uomo che non stava accettando l’ evidenza della malattia, che non si mischiava con gli altri pazienti, che non parlava con nessuno quasi fosse contagioso parlare e confrontarsi sulla propria esperienza, è diventato un’ eruzione di riflessioni, emozioni e stati d’animo.

Giancarlo in questi anni di malattia ha semplicemente e profondamente preso coscienza della morte che arriverà, o forse meglio della sua vita. Non possiamo forse elaborare e accettare quello che ancora non è avvenuto, ma possiamo guardarci indietro. Giovanni ha fatto questo. A un certo punto, specie durante le lunghe giornate di terapia in day hospital si è guardato indietro, ha esaminato il suo passato, ma solo perché accettando quel che è stato e vivendo pienamente il presente, si sente pronto per quel che verrà. E’ la relazione che all’ inizio era costituita solo da un silenzio, poi divenuto nel corso degli anni un lento e lungo dialogo, ora si parla di morte.

E lui si chiede e mi chiede cosa si prova quando si muore, proprio in quell’ istante di passaggio fra ciò che siamo ne ciò che eravamo. Io non lo so. Ma lui non vuole nemmeno una risposta. Vuole solo dirmi che della sua morte lui non vuole essere la vittima. E allora vai a casa con la testa frastornata, sapendo che è stata una giornata faticosa ma speciale, perché ti è stato regalato un sassolino di quelli che, gettati sulla strada della vita, saranno un segnale del tuo passaggio se ti volti indietro a guardarli, ma che arricchiscono la tua esistenza anche se gettati perché saranno una guida per chi verrà dopo.

Tratto dal libro I MEDICI RACCONTANO Storie di vita e di Malattia - Editore Giovanni Fioriti

Karen Borgonovo
Oncologa ASST Treviglio

P.S.

Giancarlo scrisse questi appunti nel ritorno dalla gita di Arnosto nel settembre 2016:

Era pomeriggio tardi quando tornavo da Fuipiano, lasciando dietro di me i monti della Valle Imagna. Un canto di montagna accompagnava i miei pensieri. La musica di questo canto è stupenda come stupende sono le parole. “L’ombra che viene azzurra sulle colline. Giù nella valle si chiudono le rose. Chi spegne il giorno colora i nostri sogni” Quel giorno: si è camminato tra i boschi (Alberto la prossima volta si sale fino in cima) Si è pranzato in compagnia (giganteschi i ragazzi che hanno cucinato) Si è cantato e ballato (Marco, se ci curi come balli, siamo fritti!) C’è stata pure la danza del ventre (conturbante l nostra Rosangela!) Ci sono state tre “ragazzine” coinvolte da questa danza (nonna Luisa, come eri Sexy) Ci sono stati regalini per i più piccoli (bravissima Giulia!) Soprattutto si è tanto dialogato (sotto lo sguardo delle cime circostanti)... sembrava, anzi senz’altro lo era, una particolare realtà fuori dal tempo. “Chi spegne il giorno, colorava i nostri sogni” Forse sarà stato l’effetto collaterale del “doppio grappino” offertomi da Angelo (mitico!!) ma... “Giù nella valle vedevo chiudersi le rose”

POST SCRIPTUM (in italiano: Nota Bene) Visti gli effetti curativi e collaterali suggerirei di usare “i grappini del mitico Angelo” come farmaci compassionevoli di prima... fino alla decima linea! Sono passati quasi 50 anni dai miei studi Universitari di Economia e commercio con indirizzo “Gestione ed amministrazione delle aziende” ma giornate come questa andrebbero inserite tra le attività di bilancio della azienda ospedaliera (forza Bocconiani) con valori molto ma molto pesanti.

A volte i colori della realtà sono pari ai colori dei sogni.

“Giancarlo”

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