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Spazio Cultura
Il Giro d’Italia

La vita ci riserva a volte delle strane sorprese e la storia che vi andiamo a raccontare non ne è certamente parca. Me l’ha raccontata un amico lo scorso inverno, davanti a una soca di faggio che ardeva nel vivo fuoco di un camino. Egli è solito riderci sopra quando sente dire che l’amore non ha età, il primo amore non si scorda mai e via cupideggiando. Beh, forse è proprio così. E a Natale può farsi trovare, così, a sorpresa, come il più inaspettato dei regali di cui la vita è capace.
A quasi settant’anni non si è vecchi, per l’amor del cielo, però la gioventù può essere annoverata tra i lieti ricordi. Ermenegildo, un nome complicato anche solo da pronunciare, meglio Gildo, sta facendo un excursus della propria vita. E dicembre è il mese ideale per le rimembranze.
Gildo è sempre stato avverso alla tecnologia digitale, la trova fastidiosa quanto mosche e zanzare. Da qualche tempo però ha imparato a utilizzare, come si conviene, lo smartphone e relativi social media. Facebok in special modo. È stato il nipote a insegnarglielo. Non proprio una cosa semplice: solo la pazienza e la caparbietà del piccolo Gianluca sono riuscite a sbrecciare nel crapone del nonno, duro come la pietra delle Orobie.
Gildo si ricorda, una di quelle sere, che tanti anni fa, 53 giusti giusti, aveva una morosetta. Il nome e il cognome li porta stampati ancora bene in mente. Si erano conosciuti in vacanza, su in montagna, subito dopo la fine della scuola. I due diciassettenni si frequentarono per sei mesi. Poca roba, si direbbe. Invece no.
Gildo non ha mai dimenticato quella ragazza semplice dai capelli scuri e ribelli, dagli occhi verdi e dolci e col sorriso stampato sulle labbra. Di tanto in tanto, apriva lo scrigno dei segreti e leggeva le lettere che si scrivevano tutte le settimane. In quegli anni di carta e di francobolli, l’inchiostro veniva dispensato copioso. Rosa le buste di lei, azzurre quelle di Gildo. Sono state l’occasione per abbandonarsi a lieti ricordi, avvolti da una percettibile coltre di nostalgia.
Gildo, al tempo, era stato un po’ carogna nel lasciarla senza un valido motivo. Anzi, a dirla tutta, la lasciò pur volendole bene. Non ricorda. Sarà dipeso dalla distanza: dal paese di lui alla città di lei, il tragitto era notevole. Un’odissea padana fra pullman e treni locali, quando c’erano. E poi, fra lavoro e studio, come si faceva?
Gildo si ricorda perfettamente la telefonata che le fece al posto pubblico del suo paese, 53 anni fa, come se fosse il giorno prima. Ancora oggi si sente come un cane preso a randellate dal primo, sadico perditempo di passaggio. Era di domenica, l’ultima prima di un Natale che sarebbe stato aggraziato da un velo di neve. Quel giorno, il ragazzo è combattuto da mille pensieri. Prima di sedersi al desco di casa per il pranzo in famiglia, il giovanotto, mani in tasca e aria da 2 di novembre, entra ciondolante nel bar, ignora i saluti e si porta dritto e silente alla cabina insonorizzata. Alza la cornetta color grigio fumo, formula il numero sul disco rotante con l’indice che si direbbe di piombo, insensibile. Al secondo squillo, dall’altra estremità del cavo e da un altro posto pubblico, riconosce la vocina familiare che risponde, quasi invocando, “pronto, pronto”.
Gildo, brusco: “Pronto, ciao Maristella, ti devo dire che non ci parliamo più”. Non era l’effetto che si attendeva nell’ascoltare la sua voce strozzata, come se una mano gli avesse preso il collo e lo stringesse piano per farlo soffocare. Dall’altra parte, solo un singhiozzo e il clac della cornetta che chiude sei mesi di parole dolci, di sorrisi, di languore e di promesse. Quei suoni, il singhiozzo muto e il clac, Gildo li porta ancora graffiati sulla corazza fragile del suo cuore di ragazzo fatto uomo. Cicatrici sottili, sempre più confuse, mai del tutto scomparse.
Gildo ritrova Maristella tanto tempo dopo dove meno se lo aspettava. Su uno schermo digitale da 6 pollici prodotto in Cina, grazie a un satellite in orbita permanente nello spazio. Il mondo è davvero cambiato, in tutto. Non abbastanza per scordare che lei compie gli anni sotto Natale. Proprio quando lui l’aveva abbandonata ai marosi dell’esistenza su una zattera ricavata di poche, crudeli parole. Sì, è proprio Maristella. È cambiata, si capisce, mai sentito di persone che ringiovanissero con l’età. Nelle poche immagini pudicamente inserite nel suo profilo, lui rivede subito la ragazza di allora. C’è un pulsante blu rettangolare con scritto “messaggi”. Gildo lo guarda, si lascia tentare da un pensiero, poi annerisce lo schermo, si dedica ad altro. Cena. È sera, fuori la nebbiolina comincia a ghiacciare. Dentro, uno spiffero di freddo sull’anima che lui conosce bene e ha imparato a sopportare. Alla luce della lampada del soggiorno, sprofondato in poltrona, restituisce luci e colori al display, grande quanto la sua mano sinistra. Il pulsante blu è ancora lì ad attenderlo.
Gildo prende coraggio e lo preme. Scrive: “Scusa, sei tu quella ragazza che abitava... Io sono il tuo morosetto di 53 anni fa. Ti ricordi?”. E aspetta. In circostanze come queste, il tempo acquista una dimensione tutta sua. Decide lui se è il caso di volare, o di indugiare come l’ansa pigra di un affluente di pianura, prima di confluire nel grande tutto. A volte, come ora, decide di prendersi una pausa interminabile.
Gildo preme altri pulsanti colorati, quelli del telecomando. Il prato verde di uno stadio e una sbirciatina al telefonino. Un cowboy inseguito dagli Apache e una sbirciatina al telefonino. Quattro politicanti schierati in uno studio attorno a un imbonitore disinvolto - ma ce l’hanno una casa, questi? - e una sbirciatina al telefonino. Niente. Lo schermo resta inerte. E così per i due giorni successivi. Il terzo, ecco la tanto agognata notifica luminosa di risposta, ricevuta di un ritorno lontano e ormai quasi perduto: “Sì, sono io. Sono quella ragazza che tu avevi lasciato. Mi sto chiedendo ancora adesso, a distanza di mezzo secolo, il motivo per cui tu lo abbia fatto. È vero che ci vedevamo poco, però eravamo innamorati”. Garbatamente, aggiunge che da quella telefonata si aspettava gli auguri di buon compleanno, magari un appuntamento per la vigilia di Natale, nel centro addobbato di luci. E invece. Un saluto un po’ formale e, in calce, il nome della ragazza di una vita fa. Di un’altra vita.
Gildo le aveva detto che non si sarebbero parlati più. Così inizia a scriverle, via chat. Con tatto, sbrigliando la sincerità delle parole giuste, liberando il cuore da lamiere così consunte da non avere più senso. Lei racconta di essere sposata, ha due figli e una splendida nipote. Viene che Maristella lo invita ad andarla a trovare. Lui prende tempo, non se la sente: 53 anni lasciano il segno. Occorre molto meno, 41 interminabili giorni, prima che lui si decida ad andarla a trovare, sospinto dalla curiosità e dai sensi di colpa ancora latenti. E se...?
Gildo si presenta persino in anticipo nella via indicata, in una zona insolitamente quieta della grande città. Ha fatto shopping per l’occasione - e per togliersi la polvere di qualche anno. Indossa jeans un po’ consunti sulle cosce, una camicia turchese a fiorellini, come andava in voga negli anni Settanta, ai piedi scarpe bianche da tennis. Un piumino alla moda. Si è impomatato i capelli con il gel scuro per nascondere un po’ di bianco. Lei, dal balconcino di casa, lo saluta invitandolo a rimanere lì un attimo. Il tempo di scendere le scale: cosa sarà mai, dopo mezzo secolo? Gildo la intravede da lontano, è una signora adesso. Maristella lo incontra sulla via. I due si guardano un po’ stralunati. Lui con la mascherina a coprire le rughe e parte del viso, lei che mostra con naturalezza il suo. Non si danno la mano, si guardano negli occhi, proprio come l’ultimo giorno in cui si videro, su un sentiero acciottolato che tagliava in due la montagna. Lei lo invita a togliersi la mascherina. Vuole guardarlo bene, scoprire se il tempo è stato crudele con i lineamenti che lei non ha mai scordato. Sorridono, teneramente imbarazzati e consapevoli. Decidono di sedersi al tavolino di una caffetteria per chiacchierare. Un’ora diventa quasi due, si è fatto buio quando Maristella gli chiede di accompagnarla a casa.
Gildo ora cammina accanto a lei. Si accosta. Si sfiorano appena. Giunti al cancelletto, con un pretesto qualsiasi, la signora lo invita a salire. Casa sua: un trilocale grazioso, accogliente. Arredato con sobria finezza. Gildo s’impone di non guardare le foto nelle cornici, mentre Maristella accosta i battenti della finestra, s’aggiusta la gonna e a piccoli passi felpati si avvicina a Gildo. Lo guarda intensamente negli occhi azzurri. Lui, imbalsamato. Praticamente una mummia. La signora si alza in punta di piedi, appoggia le sue labbra sulla sua guancia destra, poi su quella sinistra. Gli sfiora di un niente le labbra percependone il respiro. Dopo un attimo di smarrimento, Gildo la stringe forte a sé. Non è più attimo di sguardi, ma di un bacio. Uno solo, ma lungo una vita. Li avvolge di tutta la tenerezza di questo mondo. Non c’è un alito di vento, eppure le mani tremano come foglioline strapazzate dalla fredda brezza autunnale. Un’estate fa, tante estati fa, non c’era stata che lei.
Gildo lascia la casa di Maristella con il cuore che bussa impazzito. Si gira verso la finestra illuminata per abbozzare un timido saluto, cerca di ricordarsi dove aveva lasciato l’auto, s’infila nell’abitacolo, guarda oltre il parabrezza senza vedere nulla. E adesso? Che fare? Dare retta al cuore, o alla ragione? Non sono più ragazzini, l’estate in montagna è finita da un pezzo. È stato l’incontro fra due nonni inclini al sentimento, questo dice la testa. Una settimana dopo, è lei a dargli appuntamento in un parco appena fuori dal paese di lui. Via chat, quella signora dai modi garbati gli aveva scritto che il giorno del suo compleanno lo avrebbe festeggiato con una piccola gita, a visitare un santuario. Lasciata l’auto, iniziano a salire i gradini della collina che portano alla grande chiesa. La salita è modesta, però gli anni si fanno sentire. Ansimante per la fatica, a un certo punto Maristella si siede su un muricciolo di pietre, appena riscaldato dal sole timido del primo pomeriggio. Anche Gildo si siede al suo fianco, fingendo affanno per non imbarazzarla. Le accarezza dapprima i capelli, poi la guancia appena accesa di rosa. Stavolta è il cuore di Maristella a battere forte e glielo confessa. Gildo le appoggia la mano sul petto per sentirlo. Lei, con buona creanza, la prende e la sposta di un niente. Poi la bacia, sul palmo, prima di liberarla. Finalmente, i due raggiungono il santuario: gl’ippocastani alti e quasi cerimoniosi sembrano i custodi di quell’ameno luogo di culto. Davanti alla statua della Madonnina, Gildo, un po’ goffo, estrae dal taschino del giubbotto una vecchia fede d’oro che gli aveva regalato la nonna Gina. Un secolo fa era costata una piccola fortuna, solo per restare rinchiusa nel cassetto del comodino assieme ai ricordi del suo Giovanni, caduto nell’ultima battaglia della Grande Guerra. Nonna Gina non se la sentì mai di vederla al dito di un altro uomo.
Gildo si gira la fede fra le dita, poi si decide e, rapido, la infila all’anulare destro di Maristella. “Buon compleanno, piccola mia”. I due si guardano teneramente negli occhi, velati di lacrime. È una promessa d’amore eterno, per la prossima vita.
Dicembre è anche questo.

Giuseppe Bracchi
Giornalista amico
dell’Associazione Amici di Gabry

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