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“Giuann” ha fatto marrone

Per tutti, Giovanni era Giovanni. Punto e basta. È un’affermazione che può sembrare banale solo a chi ignora che, in paese, nessuno riusciva a portare il proprio nome di battesimo dalla culla alla tomba. Quando andava bene lo storpiavano anche in modo amichevole, ma c’erano persone che ne ricevevano un altro poco gradito. Che restava per tutta la vita.

Le scurmagne: soprannomi che vestivano come una seconda pelle, come il marchio di un tatuaggio che non se ne sarebbe più andato. Addirittura ci sono paesi nei quali uno nasce Francesco e poi lo ribattezzano, che so, Asdrubale. Un modo come un altro per onorare un familiare scomparso, un amico di famiglia. A volte, solo una scorciatoia per evitare omonimie. Giovanni, no. Chissà per quale motivo, era rimasto sempre Giovanni. Finché, in men che non si dica, un venerdì mattino di una vita fa, Giovanni perse il nome e pure la faccia. Insomma, fece marrone: fu colto con le mani nel sacco.

Ecco com’è andata.

A quel tempo, Giovanni era un omaccione di cinquant’anni, anche se ne dimostrava una decina di meno. Alto il giusto, capelli ancora scuri come i fondi del caffè, occhietti da furbo e baffetti da sparviero, era tutto sommato piacente. Tant’è che un paio di vedove gli stravaccavano addosso occhiate pregne di lucore. Lui, però, di prendere moglie non aveva mai voluto saperne. Non che fosse un asceta, uno stinco di santo: qualche scappatella ogni tanto se la concedeva. E ne andava orgoglioso.

Quel venerdì in paese era giorno di mercato. In sella alla sua bicicletta, Giovanni era andato a fare la spesa sulle bancarelle ben allineate sull’acciottolato della piazza del Comune. Riempito il cestino di vimini con le poche cose che gli servivano, scambiate le solite quattro balle con gli ambulanti, Giovanni si era imbattuto con una delle due vedove di cui sopra, Piera, conosciuta da tutti come la Rossa – eccola, la prepotenza del soprannome - per via della cespugliosa chioma fulva.

Piera bloccò lo scapolone piantandosi davanti alla sua bici. Oltre ai generosi fianchi da matrona, la Rossa aveva un viso bellissimo che ancora prevaleva, ogni giorno con un segno impercettibile di fatica in più, sul corpo che aveva imboccato la strada della maturità. Ma non crediate: a cinquant’anni faceva ancora la sua bella figura attirando sulle sue morbide curve sguardi tutt’altro che innocenti. È come non è, Giovanni e la Rossa presero a raccontarsela per una buona mezz’ora. L’uomo si congedò sfiorando le amarantine gote della vedova con un buffetto. E niente di più: la gente di paese non si tirava mai indietro, se c’era da metter su un fotoromanzo.

Prima di prendere la strada di casa, con la Rossa che ancora si addensava nei suoi pensieri, Giovanni si attardò con una breve sosta all’osteria La Tencia, gestita da Claudio e dalla moglie Celestina, a loro volta ribattezzati Caladio e Cele. Quel venerdì marito e moglie erano indaffarati più del solito: lei stava cucinando il merluzzo in umido e fritto, che sarebbe finito sotto le gagliarde mascelle per scivolare nelle ubertose pance degli agricoltori. Caladio si dava da fare al bancone nel servire calici di vino annacquato il giusto e forse oltre, ma trovò il tempo di mettersi a chiacchierare con Giovanni. Le solite chiacchiere, tanto per tirare mezzogiorno.

Giovanni comandò le ciliegie sotto spirito, che gli furono servite con l’abilità dell’oste navigato: tre nel bicchierino, a bagnetto nel liquore, una infilzata da uno stuzzicadenti. L’esile voce da eterna bambina di Cele richiamò il marito in cucina, occorreva una mano per preparare i piatti. Nel frattempo, il vaso delle ciliegie sotto spirito era rimasto a brillare di rosso cupo sul bancone. Chissà mai cosa prese a Giovanni, che infilò la manona in un batter di ciglio e senza pensarci su due volte. Tanta fu la foga del gesto, che la mano non riuscì più a uscire dal vaso.

Quando Caladio ritornò dalla cucina, rimase di gesso nel vedere Giovanni che stava ravanando con la mano destra per cavarsi d’impiccio e da una solenne figuraccia. Non sappiamo chi fu il più imbarazzato, tra Giovanni che aveva una faccia da funerale con poca gente al seguito; e l’oste che aveva assunto l’espressione attonita del merluzzo che stava sfrigolando in padella. Alla fine, tira e molla, gira che ti rigira, Giovanni riuscì a togliere la manona dal vaso sotto lo sguardo allocchito di Caladio. Anche senza rompere uova, ormai la frittata era fatta.

Nonostante la mano liquorosa, Giovanni non trovò lo spirito di alzare il crapone e incrociare gli occhi dell’oste, così se ne andò con la coda tra le gambe, come un bracco bastonato. Aveva fatto marrone, Giovanni: e per tutti, da quel giorno, Marrone restò.

Giuseppe Bracchi
Giornalista amico
dell’Associazione Amici di Gabry

reparto oncologia treviglio
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