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Quella sera al cinema

Ci sono mattine che vorremmo prendere lo specchio e mandarlo in frantumi. Un po’ è colpa degli anni che passano, inesorabilmente. Maledetto il tempo: anche stanotte ci ha messo mano aggiungendo un’altra piega al viso, un altro capello bianco. Dobbiamo accettarlo il più serenamente possibile, non c’è alternativa. Per rinfrescarci può aiutare un bel tuffo nella piscina dei ricordi e portarne uno a galla. Ecco, come d’incanto, sono tornato il giovanotto che ero a 17 anni. È primavera e un caro amico mi chiede se voglio andare con lui al cinema in un paese vicino. Ha conosciuto una ragazza e sicuramente sarà accompagnata da un’amica, quindi bisogna andare in coppia. Bene, gli dico, non c’è problema: domani si va al cinema. Stavo vivendo un brutto periodo. Mi ero lasciato da poco con una dolce fanciulla di Bergamo, Mariangela, alla quale volevo bene. Per davvero.
Le prime ore del pomeriggio le trascorro in bagno per la toilette, intesa come farsi belli di fino. Tira, mola e messeda, riapro la porta dopo un paio d’ore. Capelli cotonati alla Lucio Battisti, fondotinta per celare i maledetti brufoli, maglietta bianca e blu alla marinara, pantaloni color non si sa bene, ma così attillati da indossarli col calzascarpe. Il tutto bagnato da una pioggia di acqua di colonia Pino Silvestre, fregata a nonna Ester. Quando mi presento per la paghetta, una moneta da 500 lire d’argento, mio padre, ottimo sarto, dopo una scrutatina mi chiede se sono pronto per esibirmi al circo. Pensavo peggio...
In un attimo sono in piazza e via, si parte. Il mio amico Fausto è un anno più vecchio di me e mi passa a prendere con la Fiat 500 bianca targata MI K0 che gli ha prestato la sorella. Stasera proiettano il film “In ginocchio da te” con Gianni Morandi e Laura Efrikian, in bianco e nero. Dopo una brevissima fila per i biglietti, ci portiamo in sala: un casino infernale. Una volta, la sala cinematografica non era quel luogo silenzioso, comodo e quasi asettico di oggi. Fumo di sigarette e toscani, gente che sgranocchia patatine, colpi di tosse dovuti alla farina di castagne aspirata con una stringa di liquirizia, gagliardi rutti esplosi in sala dai soliti imbecilli appena si spengono le luci, ragazze con in mano il fazzoletto pronte ad asciugarsi una lacrimuccia. Con il prete don Rissulìn a vigilare come una sentinella prussiana, pronto a tirare scappellotti quando una coppia si stringe troppo sui sedili di legno.
In tutta quell’animazione, Fausto mi indica le ragazze con un cenno. Sono sedute proprio nel bel mezzo della sala. “Quella mora è mia, la biondina è tua”, dice con una certa baldanza. Ma neanche per idea: io ho sempre avuto un debole per i capelli scuri. Così decido di giocare sporco, approfitto delle luci che si spengono e, come un bracco sull’usta di una fagiana, mi fiondo sulla poltroncina accanto alla morettona. Fausto, battuto sul tempo, s’accula a latere della biondina cercando di mandarmi dei segnali di avvertimento. Che io lascio cadere nel vuoto. Nessuno al mondo mi schioderebbe da quel seggiolino. La ragazza al mio fianco, imbarazzata, non toglie lo sguardo dallo schermo, mentre Fausto ogni tanto continua a mandare segnali inequivocabili. Beh, che fare. Non so nemmeno il nome della mora: mi è bastato uno sguardo. Profondo, ma sempre uno sguardo. A metà del primo tempo, già si sentono le ragazze piangere perché il soldatino Gianni Morandi fa un po’ il pirla con la sua Lauretta. O la va, o la spacca: approfitto del momento magico per allungare la mano sfiorando la sua. Inizio ad accarezzarle le dita, prima di stringerla. Lei, sempre con lo sguardo fisso sullo schermo. Finisce il primo tempo, il cuore è già in subbuglio. La ragazza, una quindicenne in un corpo maturo, mi guarda e abbozza un lieve sorriso.
Dopo mezzo secolo le immagini sono ancora nitidissime. Indossa un maglioncino dolcevita color tortora, sotto due occhioni neri da perdercisi. Mamma mia com’è bella. Aveva ragione Fausto, ormai stravaccato sul suo seggiolino, rassegnato e con lo sguardo per aria. Le luci si spengono nuovamente per il secondo tempo. Dopo qualche attimo, riprendo da dove ci siamo lasciati, ovvero mano nella mano. Avverto, come dire, una certa fiducia. Prendo un po’ di coraggio e comincio ad avvicinare il mio viso al suo. Ecco, ormai siamo guancia a guancia. Solo i lunghi capelli scuri le dividono con un impalpabile diaframma. Un colpo di tosse, uno stacco veloce, lei si aggiusta i capelli indietro liberandosi la guancia con apparente naturalezza. A questo punto la temperatura corporea sale ulteriormente, il cuore va per conto suo picchiando come il martello del fabbro sull’incudine. Ci riprovo: lentamente appoggio la guancia alla sua. Avete presente quando posate una costata di manzo sulla griglia bollente? Uguale. Rimango incollato a quella dolce parete per tutto il tempo. La sua pelle profuma di mughetto, di innocenza e di gioventù. Quando la scritta “fine” esce sullo schermo e Gianni Morandi ha finalmente conquistato la sua Laura, le luci mi sorprendono ancora perso in quella dolce prossimità. Chissà perché, stasera don Rissulìn ha deciso di risparmiarmi, ma da un suo sguardo eloquente capisco che non ci sarà una prossima volta. Fortuna vuole che anche Fausto ha fatto bello con la biondina smaltendo l’incazzatura. Usciamo dal cinema, lei mi pianta addosso quegli occhioni neri da far paura e dice: “Piacere, io sono Giovanna. Forse c’è stato un malinteso”. Io, quasi a giustificarmi, provo la battuta di spirito: “No, sono proprio Giuseppe”. Lei abbozza un sorriso e: “Lo so, ti vedo tutte le mattine in sella a un vespino rosso con la scritta Zeppelin”. Giovanna fa segno di abitare a un centinaio di metri. L’accompagno stringendole forte la mano. Arrivati al cancello, la morettona, è quasi alta come me, apre la porticina. L’attimo di varcarla e il buio ci avvolge come un tabarro complice. Solo un flebile raggio di luna rischiara il suo volto. Le accarezzo le guance. Scottano! Continuo a perdermi in quegli occhioni, prima di appoggiare le labbra alle sue. Sono in paradiso. Sì, dev’essere il paradiso, perché sento una musica dolce, gli angioletti che svolazzano intorno. No, troppo bello anche per essere il paradiso, ma così c’è il rischio che il diavolo ci metta le corna, o la coda. Forse anche il forcone. Ecco, in mezzo al cortile luccica qualcosa che me lo ricorda. Giovanna mi dà uno strattone: “Scappa!”. Resto lì, fermo come un pistola, rintronato più che mai: quella ragazza dagli occhioni neri e dal profumo di mughetto mi ha conquistato. Forcone, è pur sempre un forcone. A brandirlo però non è il diavolo, peggio: la madre, che avanza lancia in resta per bucarmi il fondo dei pantaloni. Quella sera l’angelo del Signore è dalla mia parte e, sia fatta la sua gloria, prende il sopravvento su Satana dotandomi di uno scatto fenomenale. Peccato solo che, a differenza di “In ginocchio da te”, la mia storia non ha avuto un lieto fine.
Giovanna e io siamo rimasti insieme quasi un anno, sempre con la minaccia del forcone in agguato. Quando si dice il fato: lasciata la morettona, dopo qualche mese incontro di nuovo la sua amica, la biondina, Angelisa, quella che era designata a essere la ragazza del cinema. Anche lei si è appena lasciata con Fausto. Beh, abbiamo provato a frequentarci, ma quella ragazza dagli occhioni neri e col maglione dolcevita ormai mi aveva ingarbugliato il cuore. E dopo più di mezzo secolo, a volte ancora non lo lascia tranquillo.

Giuseppe Bracchi
Giornalista amico
dell’Associazione Amici di Gabry

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