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Il tumore del polmone: stadio alla diagnosi e trattamento della fase iniziale

Il tumore del polmone è una delle malattie oncologiche più diffuse, nel nostro paese si stima che ogni anno colpisca più di 40000 persone ed è più frequente negli uomini rispetto alle donne, il fumo rappresenta il principale fattore di rischio.
I tumori in base alla loro morfologia possono essere divisi in tumori a piccole cellule (SCLC) circa il 15% dei casi e non a piccole cellule (NSCLC) circa l’85%, che a loro volta si suddividono in adenocarcinoma e tumori a cellule squamose.
In questo capitolo ci concentreremo sulla terapia del tumore polmonare più frequente, cioè quello non a piccole cellule (NSCLC).
Anche i tumori di uno stesso tipo possono differire tra di loro per la presenza di diverse alterazioni carico del DNA o per le proteine che esprimono, per questo dal punto di vista molecolare si possono suddividere in due grandi categorie:
TUMORI ONCOGENE ADDICTED e TUMORI NON ONCOGENE ADDICTED

TUMORI ONCOGENE ADDICTED
(la sopravvivenza della cellula tumorale dipende fortemente dall’attività di un solo gene detto driver, esprimono quindi delle alterazioni molecolari specifiche, dette mutazio-ni. Contro questi tumori esistono terapie mirate),
Alla base del trattamento di questi tumori sta il concetto di “mutazione” genetica: il DNA che si trova in ogni cellula (sia sana che tumorale) nel tempo può subire delle alterazioni, definite “mutazioni”, che si trasmettono anche alle cellule che ne derivano. Molte mutazioni non hanno impatto sulla vita cellulare, ma altre possono avere un ruolo fondamentale, ad esempio possono far sì che sulla membrana della cellula vengano espressi dei “recettori” particolari. I recettori sono come delle antenne, alle quali si lega il messaggio proveniente dal circolo sanguigno (“ligando”). Il messaggio viene poi trasmesso all’interno della cellula, che ne esegue gli ordini. Nel caso delle cellule tumorali, alcuni recettori (attivati dalle “mutazioni”)fanno arrivare all’interno della cellula un messaggio che la rende in grado di sopravvivere e moltiplicarsi, cioè il tumore, grazie all’attivazione aberrante del suo recettore, può continuare ad automantenersi e crescere indisturbatamente.
Per poter identificare le mutazioni associate alla crescita del tumore vengono eseguiti sofisticati test molecolari sul DNA delle cellule tumorali prelevate con la biopsia.
Una volta identificata la mutazione presente nelle cellule tumorali si può procedere con la terapia.
Come funzionano i farmaci target? Si distinguono in due tipi: gli “anticorpi monoclonali” (figura 1) sanno riconoscere in maniera selettiva il recettore (l’antenna sulla superficie cellulare) o il suo ligando, vi si legano e bloccano la trasmissione (trasduzione) del messaggio che fa sopravvivere la cellula tumorale che quindi va incontro alla morte. Oltre agli anticorpi monoclonali esistono anche le“piccole molecole” (inibitori delle tirosin chinasi) in grado di entrare direttamente nella cellula e di agire sul recettore bloccandolo dall’interno.
Si calcola che poco meno della metà dei pazienti con tumore del polmone abbia mutazioni che siamo in grado di contrastare con in nuovi farmaci (figura 2), che tuttavia sono fondamentali perché portano ad un netto aumento della sopravvivenza rispetto alla sola chemioterapia. Quali sono le mutazioni più frequenti? Quali i farmaci che possiamo utilizzare per bloccarle?
- Mutazioni del gene EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor): è il gene che normalmente codifica per il recettore del “fattore di crescita dell’epidermide”. Nel caso delle cellule tumorali, la sua espressione ne promuove la proliferazione incontrollata. Queste mutazioni si riscontrano nel 10-15% dei pazienti (in particolare non fumatori) e i farmaci utilizzabili sono: osimertinib, afatinib, gefitinib, erlotinib
-Riarrangiamenti del gene ALK (“Anaplastic Lymphoma Kinase”): durante la replicazione della cellula può accadere che una parte di un gene (EML4) si stacchi e si unisca ad ALK, causando la sintesi di una proteina “difettosa” che promuove la proliferazione delle cellule tumorali. Si verificano nel 3-7% dei casi (in particolare in donne, giovani e non fumatori, deboli fumatori o ex fumatori e nel sottotipo adenocarcinoma). I farmaci utilizzabili sono: alectinib, brigatinib, crizotinib, ceritinib.
- Mutazioni e amplificazione del gene MET (2-4%): questo gene oltre alla mutazione va incontro ad “amplificazione” (cioè le cellule tumorali presentano un numero elevato di copie del gene e, di conseguenza, del recettore). I farmaci utilizzabili sono capmatinib, tepotinib, savolitinib
- Mutazioni responsabili per meno del 2% ciascuna. Riarrangiamenti del gene ROS1 e del gene RET (entrambi recettori difettosi derivanti dalla fusione anomala di due geni; più spesso pazienti giovani, non fumatori, deboli fumatori o ex fumatori, sottotipo adenocarcinoma; farmaci utilizzabili: entrectinib e crizotinib per il gene ROS1; pralsetinib per RET). Mutazioni del gene BRAF V-600E (questa mutazione, ritrovata nel 50% dei pazienti con melanoma, si riscontra nel 1-2% dei pazienti con tumore polmonare, i farmaci utilizzabili sono dabrafenib e trametinib). Riarrangiamenti dei geni NTRK (0,5-1%; proteina di fusione difettosa che viene sovraespressa, può essere contrastata dal farmaco entrectinib).
- Vi sono altre mutazioni note per i quali sono in fase di recentissima approvazione nuovi farmaci, tra queste vi sono le mutazioni di KRAS, presenti nel 20-30% dei pazienti e candidabili a terapia con sotorasib e adagrasib
Tutte queste terapie possono essere somministrate secondo varie modalità: alcune sono in forma di compresse (gli inibitori delle tirosin chinasi) che vengono assunte quotidianamente al domicilio, altre vengono somministrate tramite infusione endovenosa in Day Hospital oncologico ogni 3 o 4 settimane (anticorpi monoclonali), in alcuni casi è necessario comunque associare una chemioterapia, in altri vengono somministrate da sole. Una caratteristica comune a queste terapie target è che gli effetti collaterali sono differenti da quelli delle comuni chemioterapie e possono sembrare peculiari. Ad esempio si possono avere manifestazioni cutanee (eritemi, papule, desquamazioni), ipertensione arteriosa, alterazioni visive, alterazioni urinarie e dell’alvo, alterazioni della funzione tiroidea. Anche la durata di queste terapie può essere variabile e, a differenza delle chemioterapie che possono essere somministrate per un numero limitato di cicli, possono essere proseguite anche per anni mantenendo la malattia sotto controllo per periodi anche lunghissimi.



TUMORI NON-ONCOGENE ADDICTED
(la sopravvivenza della cellula tumorale dipende dall’attività di molteplici geni, non esistono terapie mirate come nella categoria precedente, ma da qualche anno abbiamo a disposizione oltre alla chemioterapia anche l’immunoterapia).
Nei tumori che non esprimono alterazioni molecolari precise non è ancora possibile utilizzare delle terapie mirate, tuttavia negli ultimi anni al fianco della chemioterapia ha preso sempre più piede l’IMMUNOTERAPIA.
L’obiettivo dell’immunoterapia è quello di combattere il tumore stimolando dall’esterno il sistema immunitario che è il naturale sistema di difesa del nostro organismo; le cellule che appartengono al sistema immunitario in genere si attivano da sole non solo contro le cellule infette ma anche contro le cellule tumorali con lo scopo di eliminarle, purtroppo nel caso dei tumori le cellule tumorali sviluppano meccanismi per ingannare il controllo del sistema immunitario che viene in qualche modo ‘silenziato’.
L’immunoterapia si è dimostrata in grado di bloccare questo meccanismo di silenziamento del sistema immunitario che riesce così a combattere meglio il tumore.
Esistono test diagnostici che possono rilevare la presenza di biomarcatori utili a prevedere l’efficacia dell’immunoterapia. Nei tumori del polmone non a piccole cellule un biomarcatore importante è il PD-L1 (“ligando di morte cellulare programmata-1”) coinvolto nei meccanismi in cui il tumore ‘silenzia’ il sistema immunitario. PD-L1 è infatti parte di un sistema di controllo (checkpoint) che, se attivato, blocca la risposta immunitaria contro il tumore.
Alcuni farmaci immunoterapici mirano proprio a sbloccare questo meccanismo, di conseguenza i livelli di PD-L1 (cioè quanto è espresso sulla superficie delle cellule) aiutano i medici a scegliere quali pazienti candidare alla sola immunoterapia e in quali invece l’immunoterapia va associata alla chemioterapia.
Nei pazienti in cui l’espressione del PD-L1 è maggiore del 50% infatti l’immunoterapia come primo trattamento si è dimostrata superiore in termini di risposte e sopravvivenza globale rispetto alla chemioterapia e viene utilizzata quindi in monoterapia (i farmaci che abbiamo a disposizione sono il Pembrolizumab e il Cemiplimab).
Nei pazienti invece in cui l’espressione del PD-L1 è inferiore al 50% l’immunoterapia viene combinata a diversi schemi di chemioterapia, tra i farmaci a disposizione abbiamo sempre il Pembrolizumab combinato a schemi chemioterapici contenenti Sali di platino e in alcuni casi possiamo utilizzare una combinazione di farmaci immunoterapici, Nivolumab e Ipilimumab accompagnati dalla chemioterapia per i primi due cicli.
Al fallimento della prima linea di trattamento la scelta del trattamento da utilizzare ricade quasi sempre su un trattamento chemioterapico, è invece possibile utilizzare l’immunoterapia (Pembrolizumab, Nivolumab o Atezolizumab) se questa non è stata utilizzata in precedenza e se non ci sono controindicazioni cliniche.
I trattamenti immunoterapici vengono somministrati per vie endovenosa con una cadenza che varia a seconda del farmaco (di solito ogni 3 settimane ma l’intervallo può essere anche più o meno lungo), sono in genere ben tollerati cosa che contribuisce a migliorare la qualità di vita dei pazienti in trattamento, non sono tuttavia privi di effetti collaterali che si verificano quando il sistema immunitario colpisce oltre che le cellule tumorali anche altre cellule dell’organismo (effetti collaterali immunorelati).
Gli effetti collaterali sono in genere poco comuni, i più frequenti sono la tossicità cutanea (prurito, rash cutaneo), endocrina (alterazioni delle ghiandole dell’organismo, ad esempio alterazione funzionamento tiroide), intestinale (diarrea), polmonare (polmonite).
Gli effetti collaterali sono in genere di lieve-moderata entità, ma in rari casi possono essere anche molto gravi, motivi per cui i pazienti devono essere ben informati per poterli riconoscere in modo da trattarli precocemente, la maggior parte degli effetti collaterali si gestisce con la somministrazione di cortisone che agisce ‘calmando’ il sistema immunitario.
A differenza della chemioterapia gli effetti collaterali dell’immunoterapia possono insorgere proprio per il particolare meccanismo d’azione anche a distanza di molto tempo dopo l’infusione del farmaco (anche settimane o mesi).
In conclusione l’immunoterapia (con o senza chemioterapia) si è dimo-strata una nuova e potente arma nella lotta contro le patologie tumorali in generali e in quello del polmone in particolari, nuovi studi sono in corso per lo sviluppo di nuovi farmaci immunoterapici, nuove combinazioni e nuove linee di terapia, sarà infatti possibile in futuro utilizzare l’immunoterapia anche per la malattia in fase iniziale.

Dott.ssa Giuseppina Dognini
Dott.ssa Mariachiara Parati

Oncologia Medica ASST - Bg Ovest
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